domenica 18 aprile 2010
recensione di STEFANO MANGINI - FILOSOFO, SOCIAL WORKER
Ma che ha dunque di speciale, `Aspettando Madonna´? Negazione di ogni possibilità d´interezza nella forma; nel film c´è lo spirito del tempo in atto ma ancora non decifrato, che verrà presto colto in una storiologia negativa, intesa come corrispettivo di teologia negativa, ovvero quella teologia medievale che del dio in cui credeva poteva solo dire quello che non era, perché coglierlo era impossibile... ecco, qui più che una storia narrata, ne presentiamo una fatta di molte che s´intrecciano senza annodarsi in unicità, ne scopriamo le impronte senza mai vederla. Ma ce ne viene al contempo dispiegata innanzi la struttura nelle sue ragioni altrimenti implicite, nascoste dalla contingenza palpitante incarnata da una storia. C´è totale partecipazione, a partire dal regista, anche a costo di farsi prendere per megalomane quando è solo sincero nell´esprimere il consueto non detto che resta forse il punto nodale da comprendere. I cliché, come le costanti sottostanti alle belle parole, leformule vincenti, come il loro consolidarsi per divenire minestre riscaldate, le varie forme espressive dell´utilizzo della telecamera, come lo stesso metalinguaggio con l´eco, tutto viene a mettersi non sullo stesso piano, ma in una sorta di macerie di piani sfondati, sovrapposti, giustapposti, senza soluzione di continuità eppure con un filo vitale praticamente lineare. Perché appunto è da qui che si vede l´innovatività assoluta dell´opera, che non è il suo pregio maggiore, come si può intuire, ma che li esalta: l´inedita coincidenza di forma e contenuto. Racconta una realtà che anela a farsi figurazione alienata mentre collassa ogni possibilità d´una coerente auto rappresentazione, eppure, nell´immaginazione e nelle persone in carne ed ossa, esiste. Come sempre quando ci si pone di fronte a un´opera che non giudica e che non offre risposte (sì, domande ne pone, mica si può scrivere il silenzio) e che si pone al di fuori diogni categoria precedentemente nota, è la capostipite di un genere, che può essere o meno il nostro, ma all´interno del quale non ha ancora paragoni, sebbene già si appresti a dettarli.
sabato 10 aprile 2010
recensione di PIA MARY - PSICOLOGA
La faccia è una parte importantissima del nostro corpo, quella attraverso cui ci riconosciamo, esprimiamo le emozioni, sorridiamo, ci guardiamo negli occhi o evitiamo lo sguardo. Non credo che la faccia sia meno importante delle mani, dei piedi o dello stomaco. Quando stabiliamo un legame con una persona, dentro di noi si costruisce un´immagine di quella persona. E questa immagine è differente da qualsiasi altra immagine creatasi nella mente di qualcun altro della medesima persona. Se una persona perde la mia stima a causa di situazioni, eventi, comportamenti palesi e a mio parere discutibili è un conto, ma se si tratta di una difficoltà di comunicazione è un altro conto. E rischiare di perdere la faccia (o meglio, la fiducia) a causa di un equivoco mi pare proprio un fatto stupido. Per dirla meglio: se esiste una maniera di comunicare un concetto, una sensazione, in modo chiaro, perché rischiare il malinteso? Se invece la provocazione è
l´unica maniera di capire sul serio, ad esempio quando si vuol mettere alla prova la solidità di un rapporto o di un sentimento, si può decidere di accettare il rischio, ben sapendo però che di rischio si tratta.
Uno dei grossi equivoci che riguardano il tuo film è appunto la forma. Varie persone con cui ho parlato sono convinte che la frammentarietà delle scene non possa essere utilizzata, che senz´altro esista una maniera più formalmente gradevole di esprimere la precarietà. Una maniera artistica. Ho pensato: chi è che stabilisce che cosa sia l´arte? E chi è che stabilisce che debba essere arte? Chi stabilisce che l´artista debba dare delle risposte o formulare delle buone domande? Personalmente l´unico criterio che io sia mai riuscita a considerare valido per esprimere un giudizio sul valore di un film, di un brano musicale, di un´opera letteraria, è la capacità di suscitare in me delle emozioni. E il tuo film, come ho già avuto occasione di spiegarti, è riuscito a risvegliare certe mie ansie profonde. E credo che sia inevitabile che la superficie si sgretoli quando in profondità c´è un subbuglio di forze tra loro incoerenti, che ad un
certo punto esplodono. Paradossalmente, per me, il tuo film è stato rassicurante, proprio per il fatto che è stato in grado di procurarmi ansia! Mi ha fatto sentire meno sola nel gridare il mio bisogno di solidità affettiva. Per la mia esperienza la capacità di vedere chiaramente la propria ansia non è un fatto molto comune, anzi, la tendenza che vedo intorno a me è quella di difendersene, di negarla, e di rifiutare a prescindere ciò che crediamo ne sia la fonte.
L´individualismo sfrenato in cui molti di noi sono cresciuti, il menefreghismo, sembravano essere soluzioni perfette per non soffrire, esattamente come la competizione. Dire una cosa e farne un´altra, prendere un impegno solo in base ai soldi o comunque a un tornaconto personale, non badare alle conseguenze emotive delle nostre azioni, nel mio mondo erano i mezzi per essere considerati più fighi. Ma hai voglia a parlare di dinamiche pazzesche e rischio di sgretolamento del sé a chi non l´ha mai provato! Sono sofferenze atroci, però sembra che non esistano, e a raccontarle passi per una che vuol fare la vittima. Com´è possibile che una persona che si è formata una famiglia possa continuare ad avvertire il vuoto interiore? Com´è possibile non sapere neanche se sei realmente innamorato di una persona o no? Com´è possibile che ti sei accollato le spese di un mutuo e la casa che hai scelto non si trova esattamente nel luogo in cui vorresti
vivere e hai ipotecato la tua vita senza neanche saperlo? Com´è possibile che il tuo cuore pompa incessantemente 24 ore su 24 e non ti degni neanche di ascoltarlo? Com´è possibile non saper distinguere la gioia dalla banalità, il cemento dalla pietra, un albero da un palo della luce? E´ possibile, eccome se è possibile, è la nostra attuale normalità..... ed è la causa, a mio parere, della precarietà. E´ inutile e dannoso attribuirne tutta la responsabilità a chi ci governa e poi non mettersi in gioco, non saper scegliere dove davvero vogliamo arrivare. La precarietà è una nostra responsabilità. E se non ho capito male il tuo lanciare il sasso e stare a guardare dipende dal fatto che altrimenti le persone non si mettono davvero in gioco, non si sentono chiamate in causa.
recensione di STEFANO GIULIDORI
Il tuo film mi ha fatto riflettere molto, mi ha ricordato il Godard di "2 o 3 cose che so su di lei" e il Lars Von Trier delle "5 variazioni".
recensione di Claudio Aiolfi
Il film mi è piaciuto. L´ho raccontato e consigliato la visione ad amici con entusiasmo. Cercando di riassumente in poche righe quello che mi ha lasciato, direi che vedendolo ho realizzato come è bello quando una sana voglia di fare e raccontare riesce a superare le difficoltà quotidiane, e non, di coordinamento e di azioni e pensieri ed arrivare allo spettatore. Ho concretizzato che essere precario può essere scollegato dallo stato lavorativo. Mi sono immedesimato nelle diverse situazioni (che si parlasse di personale, o che si raccontasse delle difficoltà di metodo, di convergenza o difficoltà pratiche) ed ho anche riconosciuto evoluzioni famigliari di pensieri e circostanze. Mi è piaciuto il narrare senza necessariamente collegare un volto ad un personaggio, lasciava lo spazio ci metterci anche il proprio o quello dell´amico caparbio o insicuro o risolutore che riconoscevi nell´affermazione appena ascoltata. Ho trovato questa cosa
sottile, geniale. Ora che ci penso in effetti non c´erano nemmeno collegamenti a luoghi specifici. Certo da milanese un paio di luoghi li ho riconosciuti, ma questo è ininfluente nel processo narrativo. Per quanto riguarda l´incontro con il regista a fine proiezione, da spettatore mi è sembrato di perdere un´occasione di ulteriore racconto. Non so cosa sia scattato, non sono un artista e non sarò riuscito a cogliere delle sfumature, ma sembrava che il regista si stesse "difendendo", direi quasi con aggressività. Forse le domande stesse erano aggressive o stupide, di nuovo, da spettatore non ho colto. Mi è spiaciuta la situazione, mi aspettavo il racconto entusiasta dell´artefice del film ed invece sembrava quasi imbarazzato a parlarne.
recensione di EUGENIA LENTINI - geologa e libera pensatrice
Aspettando Madonna mi è stato presentato come un film sulla precarietà. Bella sfida ho pensato. Quando l´ho visto mi è piaciuto. Ma più che un film sulla precarietà, mi è sembrato una sequenza di performance di teatro di ricerca. Uno studio sulla definizione e sulla resa del poliedrico concetto di precarietà. Del teatro di ricerca ha sperimentazione dell´esistere e trama work in progress. L´alchimia è forte. La precarietà dell´essere, dello stare e del sognare resa da ogni inquadratura oltre che da ogni battuta. La precarietà come essenza pregnante della vita. Sempre sul filo di lama. Da una parte il baratro della banalità. Dall´altra la costruzione della resa della precarietà attraverso il personalissimo vissuto, modo di essere e aspettative delle "ragazze".
Peccato che quando dopo la proiezione il registra risponde alle domande del pubblico rompe l´equilibrio precario dello stare proprio sul filo di lama. Scivola rovinosamente nel banale. Precipita nella stupidità di chi, tutto preso da sé, dimentica la propria relativa precarietà di essere umano. Peccato! Chissà se le "ragazze", usando la propria intelligenza e creatività, riusciranno a reagire come quelle di San Frediano e a dargli una bella lezione? E magari a fare di tutto questo un altro film! Chissà!
recensione di GIUSEPPE LORUSSO - ATTORE, VIAGGIATORE
A fine film ho visto molti parallelismi con otto e mezzo e questo vi fa onore! Fuori dai denti forse l unico neo del film in alcuni tratti è una marcata impronta "femminista" o meglio un voler rappresentare la donna come stereotipo di se stessa. Ma è un particolare che non toglie al lavoro la dimensione sperimentativa e soprattutto non gli toglie quell'elemento di casualità che ti lascia nel dubbio se voluta o no.
recensione di CLAUDIO CREMONESI - CLOWN, DRAMMATURGO, REGISTA
Ho guardato il film con grande piacere ed emozione, ho visto tanto Tinelli dentro, il tuo occhio, il tuo punto di vista, la tua filosofia, ho riso, ho evitato da subito di cercare un senso oltre le immagini e i dialoghi, dialoghi esemplari, ho visto un film sul film che avrebbe potuto/voluto essere, ho visto un progetto che è nato, si è avviato, si è avvitato, si è ingarbugliato, si è perso e forse ritrovato, ho visto scorrere energia nel film e nella gente in sala, ho visto una generazione precaria fatta di precari che riescono precariamente a raccontare la propria precarietà, ho visto poca ribellione, poca lucidità di azione per opporsi a questa precarietà decisa a tavolino dall'economia capitalistica, ho goduto lo sguardo del pupazzo mosso dalle tue mani e lì ho trovato il senso
recensione di ALESSANDRO CEVASCO - LIBERO PENSATORE
I punti positivi sono tanti ... il film spacca, spiazza e spazza via ogni dubbio! Questa e' una rarita' ..di solito la mano del regista NON si vede...perche' non c'e' ...qui e' tutto! In piu' la semantica del racconto e' sapientemente dissimulata e mascherata da una incredibile capacita' narrativa che porta a sviare l'emozione mantenendo saldissimo il racconto! Paradossalmente e' un racconto di linearita' assoluta che non viene percepito tale per la solita abitudine alla "parola"...ecco e' la mancanza di parole che colpisce di piu' questo lavoro...ogni singola semantica NON esiste perche' oggetto dell'immagine trasmessa....La maieutica porta alla sublimalita' del percorso che rimanendo volutamente ambiguo da all'osservatore lo stordimento della felicita'....ma una felicita' passiva...non riconosciuta....La "svolta" narrativa e' data dal palcoscenico....li' ribalti la realta' e la parodicizzi ...facendola diventare tragica e vera....eppero' c'e' qualcosa
in piu'...c'e' quel "be' allora vai via.....si' ma non adesso..qui e subito...." ..dici all'inizio, in mezzo ed alla fine...forse ti riferisci al senso della morte ...alla voglia della vita....al senso del NON raccontare perche' tanto e' inutile... quello che non mi piace....non mi piace la "semplicita'"...e' troppo "semplice" questo
metodo narrativo, e' troppo "gia' visto" l'utilizzo della camera in quelle condizioni (per quanto le abbia amate da morire anche le riprese delle mani e dei piedi sono...gia' viste...di piu' c'e' l'ossessivita' che utilizzi e che le rende ...poetiche....l'utilizzo dei "colori" ....anche se la "progressione" degli effetti cromatici e' meravigliosa....Insomma, sembra un'opera prima di un futuro capolavoro ...sembra un "aspettando godot" che forse...vuol finire in tempo per non scadere..ma cosi' facendo...scade nel ....."non dare"....Si capisce bene che ami lynch ma...lui e' preciso, maniacale e decostruzionista ...in questo tuo ...la decostruzione m'e' sembrata un po' una "scusante" del fatto di "non avere idea di come "concludere" " un discorso che...effettivamente...NON va concluso ! Pero' se questi appaiono come difetti, in realta', possono essere ribaltati come punti di forza...sicuramente in prospettiva "dinamica"...Ecco se il vantaggio piu' grande
e' quello di "non" essere un film..ha come svantaggio maggiore quello di non essere un film :-)
recensione di ADRIANA VANNUCCI - PENSIONATA
Al cinema è stata tutta una scoperta! L'ho visto con occhi nuovi e mi è piaciuto. Più leggero, più soffice e, decisamente, più interessante. Il gatto che si rotola nel cestino ridendo o che usa il metronomo. Geniale! Malgrado lo sdegno (come madre...) all'idea che davvero le protagoniste non avessero i soldi per l'afgano da premiare...la corsa al bancomat...Ho apprezzato specialmente il gioco di mani e piedi, la tipa che continua a chiedere se ci sarà la sua scena, l'intrecciarsi tra il dramma ed il divertente, il triste e l'allegro.
recensione di RICCARDO FARINA - POETA E DOCUMENTARISTA
Prima di tutto complimenti per le tue capacità di convogliare persone, poche volte ho visto una sala così piena, c'era "l'atmosfera dell'evento", è già questo è un successo. Anche il titolo del tuo "film in fieri" mi sembra azzeccato, e permettimi: c'è anche una buona dose di "furbizia"(parente stretta dell'intelligenza) che non guasta. Il film è appunto un'attesa: aspettando Madonna. Ci sono inquadrature ricercate ed eleganti, passaggi da una scena all'altra che sono insoliti e colgono di sorpresa (penso al passaggio dalla tua risata al bambolotto meccanico che ride), intuizioni poetiche non banali, e nel complesso il film emana un sano divertimento del "fare cinema" tutti assieme, come nel finale "felliniano" o "parafelliniano" certo il film deve ancora prendere una sua forma, trovare un suo equilibrio interno, ho visto molte mani e molti piedi, avrei voluto la stessa attenzione per i volti, trovo che il volto dei tuoi personaggi debba essere
reso meglio, altrimenti resta il tuo taglio personale ma si perde in umanità.
reso meglio, altrimenti resta il tuo taglio personale ma si perde in umanità.
recensione di ALICE ROSA - ILLUSTRATRICE
Devo proprio dire che mi è piaciuta la serata, divisa in film e post film. Mi ha fatto molto ridere e l'ho trovato una cosa abbastanza genialoide. Mi è piaciuto molto il fatto di sentire in questo vostro lavoro una sorta di liberazione.
recensione di ADRIANO BARONE - SCRITTORE SCENEGGIATORE
Tantissimi spunti e livelli di lettura, perciò ti dirò solo alcuni di quelli che ho colto, che senz'altro non sono tutti. L'idea di precarietà come condizione esistenziale e non solo contingente/sociale, mi ha convinto parecchio; anche l'idea di "mancanza di possibilità di raggiungere un risultato" mi sembra interessante, anche se forse va aggiunto "senza avere le idee chiare", perchè poi chi ha le idee chiare le cose le fa, fosse anche una versione iper-trash di Material Girl. Del resto il fatto che a Madonna tu abbia voluto dedicare il titolo, citando Beckett, denota che è quella la parte del film che da significato al tutto. Allora: tutti aspettano Godot, ma non arriva mai perchè forse non esiste. Nel tuo film, aspettiamo Madonna, ma arriva una sua versione trash: quello che ottieni non è quello che ti aspetti, grandi aspirazioni possono concretizzarsi in piccoli o deludenti risultati.
Questo e altro, credo.
Meravigliosi comunque sia i dietro le quinte, sia lo schermo a nero (irritantissima la durata eccessiva, tanto che mi è venuto da gridare al proiezionista), ma soprattutto il loop autoriflessivo: prima semplicemente lo schermo, ma poi addirittura l'autoparodia, degli autori con le maschere (non a caso, le maschere vengono indossate: siamo rappresentazioni, sia il film, che noi stessi) che ho trovato geniale. Infatti secondo me l'ironia è una delle doti più importanti di tutto il film. Senza quello sarebbe interessante, sì, ma non "passerebbe" niente. E del resto è anche l'unico atteggiamento che ti permette di non impazzire di fronte alla mancanza di senso che tutto pervade. Mi diverte vedere come la gente ti chieda risposte "semplici e dirette" quando a me semplice e diretto sembra quello che dici, soprattutto per come lo dici. Ma suppongo anche di non essere uno spettatore medio, ma vabbè. Insomma, c'è tanta roba, senz'altro molta di più di quello che ti ho detto, ma questo è
quello di cui mi sono reso conto e che ho apprezzato.
recensione di MARIA LUISA FAGIANI - DOCENTE
O ROCKSTAR O MORTE -Aspettando Madonna è la preponderanza semantica del fruscio sul suono, l´anti-reality, il controformat comunicativo che cita la televisione contemporanea rovesciandone i loci e invertendone i nessi, in una narrazione riuscita e perfettamente leggibile fatta di "tagli" di montaggio, ridondanze, interiezioni, scarti linguistici che sono la controparte espressiva degli standardizzati highlights quotidiani dei reality show o delle partite di calcio. Aspettando Madonna è l´interdetto sintattico che funziona, il "fuori campo" cinematografico che entra nel frame, la scelta dell´"unheimlich" come cifra del reale, il "dispetto" stilistico alle cortesi banalità da prime time televisivo. La vita, in Aspettando Madonna, non ha sceneggiatura possibile ma il film ci ricorda, nondimeno, lo shakespeariano "all the world´s a stage", e di questo palcoscenico cogliamo gli aspetti più opachi: la pesantezza degli attrezzi,
l´incertezza dei mezzi materiali, i momenti fuori spotlight. Un´enfasi comunicativa sul "contatto", alimentata da un audio "lo-fi", evoca precisamente, e con grande pregnanza, la contingenza di un mondo precario, faticoso, frustrante. Aspettando Madonna non è un documentario, è una metafora: il "making of" di uno spettacolo la cui "prima" sembra non arrivare mai. E invece il momento della "prima" arriva. Con il botto. Perché, cercata e attesa lungo tutto il film, Madonna irrompe. Ed è una "inner-Madonna" bellissima e collettiva, Il finale del film, infatti, che si distende in un lungo piano sequenza, ci spiega che no, non è affatto vero che "la vita è sogno", anzi, la vita è incubo, ma di certo è sicuramente vero, e per fortuna, che "il sogno è vita", che le rockstars siamo noi, perchè "you don´t need to be a rockstar to feel like one", che siamo splendide "material girls in a material world" che
non vedono l´ora di buttarsi ""into the groove".e reclamano il diritto al raso e alle rose. "Girls just want to have fun".
Recensione di FRANCESCA TASSINI - SCENEGGIATRICE
A me è piaciuto un sacco.
Credo che chi ti ha chiesto "cosa volevi dire, cos'è per te la precarietà?" non ha veramente capito niente alla base. Di precarietà è intriso tutto il film, e non la solita pippa sociale, ma una precarietà interiore, che si trova nelle pieghe del quotidiano, delle azioni delle scelte, che è un modo di essere e di vivere (o non vivere...ritirarsi come ha fatto la maggior parte dei personaggi che hanno contribuito al film)
Insomma hai preso un tema tanto inflazionato che la parola stessa (precarietà) fa venire i conati di vomito da ulcera a chiunque lo pronunci ormai e ne hai fatto un racconto vivo, secondo me, al di là (o forse grazie a) della "sgrammaticatura" di livelli di coscienza e di struttura, un racconto che si è scritto da solo in maniera un pò schizofrenica ma che sembrava sapere fin dall'inizio dove sarebbe andato.
Meglio di così.
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