Reazioni&Recensioni


MARIALUISA FAGIANI - Non è un documentario, è una metafora: il “making of” di uno spettacolo la cui “prima” sembra non arrivare mai;



ADRIANO BARONE - L'ironia è l'unico atteggiamento che ti permette di non
impazzire di fronte alla mancanza di senso che tutto pervade.



STEFANO MANGINI - E' capostipite di un genere, all’interno del quale non ha ancora paragoni, sebbene già si appresti a dettarli.

EUGENIA LENTINI - Sempre sul filo di lama: da una parte il baratro della banalità, dall’altra la costruzione, attraverso il personalissimo vissuto delle “ragazze”.

CLAUDIO AIOLFI - Narrare senza necessariamente vedere il volto di un personaggio, lascia lo spazio di metterci anche il proprio. Ho trovato questa cosa sottile, geniale.

PIA MARY - Paradossalmente, per me, il tuo film è stato rassicurante, proprio per il fatto che è stato in grado di procurarmi ansia!








PROSSIME PROIEZIONI






sabato 10 aprile 2010

recensione di PIA MARY - PSICOLOGA

La faccia è una parte importantissima del nostro corpo, quella attraverso cui ci riconosciamo, esprimiamo le emozioni, sorridiamo, ci guardiamo negli occhi o evitiamo lo sguardo. Non credo che la faccia sia meno importante delle mani, dei piedi o dello stomaco. Quando stabiliamo un legame con una persona, dentro di noi si costruisce un´immagine di quella persona. E questa immagine è differente da qualsiasi altra immagine creatasi nella mente di qualcun altro della medesima persona. Se una persona perde la mia stima a causa di situazioni, eventi, comportamenti palesi e a mio parere discutibili è un conto, ma se si tratta di una difficoltà di comunicazione è un altro conto. E rischiare di perdere la faccia (o meglio, la fiducia) a causa di un equivoco mi pare proprio un fatto stupido. Per dirla meglio: se esiste una maniera di comunicare un concetto, una sensazione, in modo chiaro, perché rischiare il malinteso? Se invece la provocazione è
l´unica maniera di capire sul serio, ad esempio quando si vuol mettere alla prova la solidità di un rapporto o di un sentimento, si può decidere di accettare il rischio, ben sapendo però che di rischio si tratta.
Uno dei grossi equivoci che riguardano il tuo film è appunto la forma. Varie persone con cui ho parlato sono convinte che la frammentarietà delle scene non possa essere utilizzata, che senz´altro esista una maniera più formalmente gradevole di esprimere la precarietà. Una maniera artistica. Ho pensato: chi è che stabilisce che cosa sia l´arte? E chi è che stabilisce che debba essere arte? Chi stabilisce che l´artista debba dare delle risposte o formulare delle buone domande? Personalmente l´unico criterio che io sia mai riuscita a considerare valido per esprimere un giudizio sul valore di un film, di un brano musicale, di un´opera letteraria, è la capacità di suscitare in me delle emozioni. E il tuo film, come ho già avuto occasione di spiegarti, è riuscito a risvegliare certe mie ansie profonde. E credo che sia inevitabile che la superficie si sgretoli quando in profondità c´è un subbuglio di forze tra loro incoerenti, che ad un
certo punto esplodono. Paradossalmente, per me, il tuo film è stato rassicurante, proprio per il fatto che è stato in grado di procurarmi ansia! Mi ha fatto sentire meno sola nel gridare il mio bisogno di solidità affettiva. Per la mia esperienza la capacità di vedere chiaramente la propria ansia non è un fatto molto comune, anzi, la tendenza che vedo intorno a me è quella di difendersene, di negarla, e di rifiutare a prescindere ciò che crediamo ne sia la fonte.
L´individualismo sfrenato in cui molti di noi sono cresciuti, il menefreghismo, sembravano essere soluzioni perfette per non soffrire, esattamente come la competizione. Dire una cosa e farne un´altra, prendere un impegno solo in base ai soldi o comunque a un tornaconto personale, non badare alle conseguenze emotive delle nostre azioni, nel mio mondo erano i mezzi per essere considerati più fighi. Ma hai voglia a parlare di dinamiche pazzesche e rischio di sgretolamento del sé a chi non l´ha mai provato! Sono sofferenze atroci, però sembra che non esistano, e a raccontarle passi per una che vuol fare la vittima. Com´è possibile che una persona che si è formata una famiglia possa continuare ad avvertire il vuoto interiore? Com´è possibile non sapere neanche se sei realmente innamorato di una persona o no? Com´è possibile che ti sei accollato le spese di un mutuo e la casa che hai scelto non si trova esattamente nel luogo in cui vorresti
vivere e hai ipotecato la tua vita senza neanche saperlo? Com´è possibile che il tuo cuore pompa incessantemente 24 ore su 24 e non ti degni neanche di ascoltarlo? Com´è possibile non saper distinguere la gioia dalla banalità, il cemento dalla pietra, un albero da un palo della luce? E´ possibile, eccome se è possibile, è la nostra attuale normalità..... ed è la causa, a mio parere, della precarietà. E´ inutile e dannoso attribuirne tutta la responsabilità a chi ci governa e poi non mettersi in gioco, non saper scegliere dove davvero vogliamo arrivare. La precarietà è una nostra responsabilità. E se non ho capito male il tuo lanciare il sasso e stare a guardare dipende dal fatto che altrimenti le persone non si mettono davvero in gioco, non si sentono chiamate in causa.

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