Il film mi è piaciuto. L´ho raccontato e consigliato la visione ad amici con entusiasmo. Cercando di riassumente in poche righe quello che mi ha lasciato, direi che vedendolo ho realizzato come è bello quando una sana voglia di fare e raccontare riesce a superare le difficoltà quotidiane, e non, di coordinamento e di azioni e pensieri ed arrivare allo spettatore. Ho concretizzato che essere precario può essere scollegato dallo stato lavorativo. Mi sono immedesimato nelle diverse situazioni (che si parlasse di personale, o che si raccontasse delle difficoltà di metodo, di convergenza o difficoltà pratiche) ed ho anche riconosciuto evoluzioni famigliari di pensieri e circostanze. Mi è piaciuto il narrare senza necessariamente collegare un volto ad un personaggio, lasciava lo spazio ci metterci anche il proprio o quello dell´amico caparbio o insicuro o risolutore che riconoscevi nell´affermazione appena ascoltata. Ho trovato questa cosa
sottile, geniale. Ora che ci penso in effetti non c´erano nemmeno collegamenti a luoghi specifici. Certo da milanese un paio di luoghi li ho riconosciuti, ma questo è ininfluente nel processo narrativo. Per quanto riguarda l´incontro con il regista a fine proiezione, da spettatore mi è sembrato di perdere un´occasione di ulteriore racconto. Non so cosa sia scattato, non sono un artista e non sarò riuscito a cogliere delle sfumature, ma sembrava che il regista si stesse "difendendo", direi quasi con aggressività. Forse le domande stesse erano aggressive o stupide, di nuovo, da spettatore non ho colto. Mi è spiaciuta la situazione, mi aspettavo il racconto entusiasta dell´artefice del film ed invece sembrava quasi imbarazzato a parlarne.
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